Investire nel mattone: è una buona idea?

 

In Italia l’amore per il mattone è ben radicato, ma siamo certi sia anche giustificato?
Con questo articolo proveremo ad analizzare, sempre numeri alla mano, alcuni aspetti fondamentali del mercato immobiliare che forse non vengono adeguatamente considerati da molti italiani.

 

Prezzi e Inflazione

Dal 2020 al primo semestre del 2023 l’inflazione ha fatto aumentare i prezzi del 16,4%. Significa che ciò che nel 2020 costava 1 euro, a fine giugno di quest’anno costava 1,164 euro. Gli effetti di un aumento dei prezzi di questa portata li sappiamo, meno conosciute sono le conseguenze sugli investimenti come, ad esempio, quelli nella casa. Se i prezzi sono aumentati del 16,4% ci si aspetterebbe che anche il valore dei soldi investiti aumenti almeno in egual misura; in caso contrario si perde il capitale. E, purtroppo, è esattamente quello che è successo, visto che in poco più di tre anni il valore degli immobili è salito solo del 7,4%, cioè il 9% in meno rispetto all’inflazione.
Se consideriamo gli investimenti a 10 anni è ancora peggio.

Dal 2012 l’inflazione è stata del 21,4%, mentre il valore delle case è addirittura sceso del 7,53%. Un immobile comprato più di 20 anni fa (2002) ha aumentato il proprio valore di quasi il 30% ma il carovita è stato del 51,25%.
In 30 anni il mattone è cresciuto del 62,68% ma l’inflazione è arrivata al 105,86%.
Questo significa che in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, tra il 2020 e oggi, in solo tre anni e mezzo, la perdita è stata del 6,01% mentre quella dal 2012 ancora maggiore, del 22,54%. In 20 anni, invece, il capitale reale andato perduto sarebbe stato del 12,54% e in 30 del 22,09%.

Questi numeri sono il risultato di cinque fasi storiche distinte:

  • La più recente, quella in cui entrambi gli indici, quello dei prezzi e del valore degli immobili, sono saliti, ma il secondo molto di meno
  • Quella tra il 2015 e il 2020, in cui vi è stata una sostanziale bonaccia, una stabilità di entrambi gli indici, anche se pure in questo periodo le case hanno perso valore rispetto all’inflazione
  • Quella tra il 2008 e il 2015, in cui, a causa della crisi finanziaria, in pochi anni i prezzi degli immobili hanno avuto un tracollo del 18,62%, mentre quelli dei beni e servizi crescevano
  • Gli 11 anni tra il 1997 e il 2008, quando vi è stato l’unico rally significativo del mattone, che ha portato il suo valore nominale a correre ben più del carovita e a raddoppiare in un tempo relativamente breve

La fase tra il 1992 e il 1997, caratterizzata, come gran parte di quelle successive, da una riduzione dei prezzi degli immobili, cui si è contrapposta un’inflazione sostenuta.
Il risultato lo possiamo vedere nei due grafici seguenti che dicono un’amara verità: chiunque abbia investito nel mattone nel passato oggi sta perdendo soldi. A guadagnarci ancora sono solo quelli che hanno comprato tra il 1996 e il 1999.

 

 

Situazione in Italia e all’Estero

Questi sono i fatti, ma siccome sognare non costa nulla è possibile che gli italiani che hanno un gruzzolo da parte pensino che sia possibile fare il “colpaccio”: comprare in una fase di prezzi bassi e vendere appena prima di un nuovo crollo, come è successo proprio tra il 1996 e i primi Anni 2000.
Beh, i numeri dicono che quello è stato un periodo irripetibile. Vediamo perché:

  • L’Italia sta perdendo popolazione e sta invecchiando più velocemente della media degli altri Paesi occidentali, perciò la domanda di case, che normalmente interessa i 30-40enni, scenderà e con essa i prezzi
  • C’è uno stock di immobili che in gran parte del Paese è superiore alla domanda, sia per motivi demografici (anziani che muoiono lasciando più proprietà a figli unici) sia perché in passato una parte importante del risparmio è stato investito in seconde case
  • Crescita economica (Pil) e redditi sono fermi e nulla, nemmeno le previsioni più ottimistiche, autorizzano a pensare che per i prossimi anni le cose possano cambiare
    Meno richiesta, eccesso di offerta, Pil e redditi fermi. Se volessimo sognare ad occhi aperti potremmo immaginare un Paese con i fondamentali economici degli Usa, dove il valore degli immobili in termini reali, quindi al netto dell’inflazione, dal 1992 è cresciuto del 107,37% o della Gran Bretagna, che ha visto una crescita del 172,76%; o della Francia: +90,39% o, infine, della Germania, +13,4%. Ma, appunto, è un sogno.

 

Milano e Roma

Naturalmente queste cifre sono delle medie. La tentazione di molti sarebbe di dirottare il proprio investimento nelle aree che in Italia hanno visto più compravendite e una maggiore domanda, cioè nelle grandi città. Vediamo i numeri. Come si vede nel grafico sotto a fare veramente eccezione rispetto al trend nazionale è solo Milano dove, dal 2012 a oggi, l’aumento dei prezzi nominali è stato del 34,31% ed ha superato l’inflazione, che è stata del 21,4%.

Nemmeno Roma è profittevole: ha visto un calo del valore degli immobili del 23,74%, Torino del 10,48%; nel Nord Ovest, grazie al traino di Milano, negli ultimi 5 anni vi è stato un incremento dei prezzi, ma rispetto al 2012 il loro livello a metà 2023 era ancora dell’1,4% inferiore a quello del 2012; mentre nel Mezzogiorno il valore degli immobili è sceso del 3,62%.

Come sappiamo gli immobili non sono un bene facilmente fungibile e scambiabile come un titolo finanziario; gran parte degli investitori non vive a Milano e dintorni e non è immaginabile che tutti i risparmiatori italiani pensino di concentrare i propri acquisti sul capoluogo lombardo. Ammesso e non concesso che il mercato milanese non si fermi.

 

Le tasse

Nei “mitici” Anni 80 le tasse sulla casa ammontavano a poco più dell’1% del Pil e valevano meno del 4% delle entrate fiscali dello Stato. Il valore degli immobili, inflazione compresa, era inferiore sia al valore di oggi che in rapporto ai redditi di allora. Insomma: investire in immobili poteva essere un affare soprattutto perché le prospettive di crescita erano favolose. Oggi? Oggi le tasse sono enormemente più alte e il valore delle case è enormemente più basso.

La parte del leone delle tasse sulla casa è dell’Imu, quasi tutta sulle seconde case, che vale 20,4 miliardi, mentre le imposte di natura reddituale, ovvero l’Irpef e la cedolare secca applicata agli affitti, ammontano a 8,19 miliardi. Nel 2022 i trasferimenti di proprietà sono aumentati e il gettito delle imposte connesse a essi è arrivato a 13,4 miliardi. È cresciuta anche l’Iva, 6,04 miliardi, l’imposta di registro e bollo, 3,48 miliardi, e l’imposta ipotecaria e catastale, 2,02 miliardi. Poi c’è la tassa sui rifiuti: altri 10 miliardi.

 

Nel 1985 le imposte sulla proprietà immobiliare ammontavano a 10.971 miliardi di lire, ovvero 5,67 miliardi di euro. Se le tasse sulla casa fossero rimaste stabili oggi i proprietari pagherebbero 15,7 miliardi e invece, lo dice uno studio della Camera dei Deputati, versano più del triplo cioè 51,92 miliardi: 3,3 volte in più rispetto al 1985. Poco male se anche il Pil fosse cresciuto in egual misura e invece mentre le tasse sulla casa valevano l’1,3% del Pil nel 1985, oggi valgono il doppio, il 2,6% e mentre 37 anni fa costituivano il 3,9% di tutto il gettito fiscale, oggi pesano per il 6,2%. In una parola: stangata.
Per di più gli aumenti delle tasse sono avvenuti tutti d’un colpo, come è accaduto nel 1992 quando il peso del debito rendeva necessario un avanzo primario e, quindi, un aumento delle entrate tributarie e per questo fu stata introdotta l’ICI, una patrimoniale che prima non esisteva e che negli Anni ’90 valeva già, da sola, lo 0,8% del Pil e il 2% delle entrate tributarie. Ovviamente l’Ici si aggiunse, non sostituì le altre tasse sulla casa tra le quali l’Irpef sul reddito dell’immobile. Risultato: nel 1998 gli italiani hanno pagato 59.600 miliardi di lire, 47,1 miliardi di euro di oggi. Sono calate, è vero, dal 2008 quando l’Ici sulla prima casa fu abolita, e infatti nel 2010 i proprietari hanno versato un miliardo in meno: 46,2.


Ma la “pacchia” durò poco: nel 2011 l’Ici, che nel frattempo aveva cambiato nome in Imu, tornò ad essere applicata all’abitazione principale e, soprattutto, si decisero coefficienti automatici che aumentarono i valori catastali sui quali si applicavano. Immediatamente i versamenti degli italiani proprietari di casa fecero boom e salirono stabilmente ben oltre i 50 miliardi (prezzi del 2022). Nel 2015 la prima casa venne di nuovo esentata ma per i proprietari di immobili acquistati per investimento non cambiò praticamente nulla infatti dopo il Covid le imposte immobiliari sono tornate a crescere, fino ai 51,92 miliardi del 2022.
La morale? Le tasse sulla casa sono state introdotte, abolite e reintrodotte in modo cervellotico e solo in rari casi sono diminuite. Perché? Perché è più facile tassare dei muri piuttosto che il capitale e il lavoro che sono fattori maggiormente “mobili” e possono essere allocati in modo diverso se le condizioni fiscali sono sfavorevoli. Gli immobili, invece, rappresentano, soprattutto in un contesto demografico come quello italiano, una base imponibile formidabile, cui infatti si attinge a mani basse. Per questo dagli anni ’80 in poi i governi hanno deciso di spostare il peso della tassazione sulla proprietà. Non a caso tra il 1985 e il 2022 il peso delle imposte sui profitti delle società sul totale del gettito è sceso dal 9,3% al 6,7%; quello di tutte le tasse sui redditi da lavoro o da impresa dal 36,8% al 32,8% e quello dei contributi alla previdenza sociale è passato dal 34,7% al 30,6%. In compenso è aumentata l’importanza dell’Iva, che costituisce il 16,5% delle entrate, contro il 14,5% di metà anni ’80, e, naturalmente, delle imposte sugli immobili, il cui peso, come abbiamo visto, è cresciuto dal 3,9% al 6,2%.

 

Il fisco sugli immobili aggiunge incertezza in un settore in declino. C’è quindi un altro aspetto che rende sempre meno sostenibile l’investimento immobiliare, oltre alla riduzione del valore reale del mattone, ed è quello fiscale che è un fattore che è determinante nelle scelte di allocazione dei propri capitali. Tasse alte unite all’incertezza sul futuro fiscale rende questo investimento particolarmente rischioso.
L’incertezza può essere accettabile in un contesto di crescita del mercato, ma il mercato immobiliare non è in crescita, è in declino. Ciò è vero in misura ancora maggiore se, come è avvenuto finora, gli inasprimenti fiscali avvengono all’improvviso e in modo pro-ciclico, ovvero in concomitanza con crisi economiche. Chi può assicurarci che, come avvenuto nel 1992 e nel 2011, in occasione di un altro momento di emergenza il legislatore non pensi di recuperare gettito attingendo ancora una volta alla proprietà immobiliare, magari attraverso una riforma del catasto, della quale peraltro di parla da anni? La risposta è: nessuno.

 

I costi di mantenimento

Comprare una casa non vuol dire solo sborsare centinaia di migliaia di euro al momento dell’acquisto, ma anche spenderne, ogni anno, altre migliaia per il suo mantenimento, ovvero per rifornirla di acqua, luce, gas, ripararla periodicamente, pulirla. Eh già… non ci si pensa mai, ma una casa costa come un figlio; l’elenco delle spese da affrontare anno dopo anno è lunghissimo e colpisce anche chi decide di comprare per puro investimento perché per mantenere il valore iniziale dell’immobile occorre spendere, spendere in continuazione.

Allora vediamo quanto costa un immobile. Lo facciamo utilizzando i dati ufficiali dell’Istat che, come si sa, ogni mese comunica l’andamento dell’inflazione la quale è composta da diversi panieri di beni e servizi. Tra questi c’è anche il “paniere” dei costi di mantenimento della casa, grazie al quale possiamo sapere praticamente tutto dei costi di un immobile. Andiamo a vedere i numeri nel dettaglio partendo dal capitolo energia.

Secondo l’Istat nel 2022, l’anno del picco dei prezzi, gli italiani hanno speso 104 miliardi e 334 milioni di euro per pagare le bollette, le parcelle di elettricisti, carpentieri, imbianchini e le manutenzioni necessarie. A questi vanno aggiunti altri 73 miliardi e 986 milioni che sono andati in arredamento, acquisto di elettrodomestici, pulizia, piccoli e grandi utensili. Praticamente il 15,2% di tutti i consumi delle famiglie italiane finiscono nella casa.

 

Gli aumenti dal 2010 a oggi

Ma c’è un altro dato impressionante ed è quello che riguarda l’andamento di queste spese nel corso del tempo in relazione all’andamento dell’inflazione e dell’economia. Tra il 2010 e la fine del 2023 l’inflazione generale in Italia è stata del 28,7%, ma la voce Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili ha subìto un incremento molto maggiore, del 64,8%. Cioè, per essere chiari: mentre in Italia tutto è aumentato del 28,7%, il costo del mantenimento della casa è salito del 64,8%, più del doppio. Come mai? Principalmente a causa del decollo delle tariffe di luce e gas avvenuto tra la fine del 2021 e il 2022. Basti pensare che tra maggio 2021 e novembre 2022 la bolletta della luce è cresciuta di ben il 243,6%, quindi è più che triplicata.

A questo proposito vi sono due aspetti che è giusto sottolineare. Il primo è che c’è stata una discesa delle tariffe di gas ed elettricità, ma il livello rimane molto superiore a quello precedente i rialzi. Il cambiamento, forse strutturale, dei canali di approvvigionamento di materie prime dell’Italia e degli altri Paesi europei non ha consentito il ritorno alle tariffe precedenti e oggi la bolletta della luce è comunque del 68,7% più cara rispetto a maggio 2021 mentre quella del gas è cresciuta del 57% rispetto allo stesso mese. Il risultato complessivo è che, se torniamo al confronto con il 2010, i proprietari di casa hanno pagato le bollette della luce il 134,7% in più e quelle del gas il 65,5% in più. Il tutto in un periodo in cui l’inflazione, è bene ripeterlo, è stata del 28,7%.

Il secondo aspetto da tener presente è che l’andamento più veloce dei costi di mantenimento di una proprietà rispetto al carovita non è una novità dell’ultimo periodo: è qualcosa che ha caratterizzato tutto l’ultimo decennio. A fine 2019, alla vigilia dell’emergenza Covid, questi costi erano cresciuti del 18% rispetto al 2010, mentre i prezzi nel loro complesso solo del 10,5%. In sostanza: la maggiore velocità dell’aumento dei costi per il mantenimento della casa rispetto all’inflazione generale è strutturale. Significa che sarà così anche in futuro.

 

Altre voci di costo

La bolletta dell’acqua, per esempio: a fine 2019 le tariffe erano già più alte del 68,2% rispetto al 2010 e a fine 2023 l’incremento è diventato del 94,4%. I materiali per la riparazione e la manutenzione della casa hanno visto una crescita del 35% in 13 anni. Il costo della raccolta rifiuti è aumentato del 32,3% e sono cresciute anche quelle spese non ricorrenti ma che comunque rappresentano esborsi significativi come per esempio i mobili, i tappeti e i vari articoli di arredamento che hanno visto un rincaro del 27%.

Di fronte a questi numeri si potrebbe pensare che, se si compra una casa per investimento, e quindi si pensa di affittarla, basta aumentare gli affitti più di quanto aumentano le spese e il gioco è fatto. Giusto? No, sbagliato. È vero che il price to rent index (che misura il rapporto tra l’indice dei prezzi delle case e quello delle locazioni) è sceso del 16,86% da metà 2010 a metà 2023, segnalando, quindi, che gli affitti sono cresciuti più dei prezzi al metro quadro, ma sono cresciuti non abbastanza per compensare i rincari di tutti gli altri prezzi. Già tra 2010 e 2019 gli affitti sono aumentati solo del 6,5%, a fronte di un’inflazione del 10,5% e da fine 2019 a oggi gli affitti sono cresciuti di un altro 5,3%, mentre il carovita ha fatto un balzo del 16,4%. Nel complesso dal 2010 a fine 2023 gli affitti hanno visto un incremento solo del 12,1%. Chi ha investito in immobili si ritrova così stretto in una tenaglia: da una parte c’è il trend sfavorevole dei prezzi al mq e, dall’altra, gli affitti che non tengono il passo dei costi di mantenimento. Per concludere: il connubio tra la congiuntura internazionale, che determina i prezzi dell’energia, e le particolari condizioni demografiche e socio-economiche italiane, rendono ancora meno conveniente l’investimento nel mattone.

(fonte Fineconomy)


Lasciamo quindi spazio ai commenti liberi di chiunque voglia esprimere un giudizio in merito.


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Commenti

Roberto Trani
2 anni fa

Articolo interessante. Valutazioni molto puntuali e dettagliate. Sono queste valutazioni che stavo facendo anche io ma con queste info aggiuntive ho una visione più completa di cose sognifica investire in case. Complimenti.